16-20 marzo 2024. Alpi e mare, montagne e mare… un connubio che si ripete ormai da tanti anni nei nostri viaggi. A pensarci bene tanto del nostro scialpinismo è fatto di sciate su montagne che si affacciano sul mare!
In Norvegia, nelle artiche isole di Svalbard, in Islanda e Groenlandia fino alle coste del pacifico su cui si affacciano i vulcani del Cile e le montagne della Patagonia…. E infine le Alpi Marittime – un nome una garanzia appunto – che si affacciano sulle più tiepide acque del Mediterraneo, la Côte d’Azur, Montecarlo, Nizza e la sua Promenade des Anglais… Tanti i fattori in comune oltre all’emozione di tracciare le proprie curve faccia mare: quel maggior senso di vuoto, di spazio e luce dato dalla distesa d’acqua ai tuoi piedi che cambia colore e riflessi col mutar del tempo e delle nuvole. Poi la neve, diversa da quelle continentali, più spesso sparata sulle rocce cui si appiccica in un niente per via di umidità e venti; neve che si assesta con più rapidità, che avvolge le montagne addolcendone le forme. Neve che crea immensi scivoli di “firn” che se lo becchi al momento giusto ti par di volare, di esser veramente capace in questa arte dello scivolamento!

© Loris Molineri
Cuneo-Nizza nasce così, un po’ casualmente, un po’ figlia della più lunga Traversata delle Alpi Marittime, fatta per la prima volta negli ormai lontani anni trenta del novecento dagli scialpinisti cuneesi capeggiati da Matteo Campia: se il loro tragitto fu da limone al Colle della Maddalena noi per questioni logistiche e di esigenza di belle sciate ormai da anni viaggiamo in direzione opposta: verso il mare, appunto. In tal modo ci si garantiscono discese primaverili sempre al sole e… vista mare!
Così anche quest’anno partiamo per questo piccolo grande viaggio tra le montagne che separano-uniscono le città di Cuneo e Nizza: un tempo entrambe facenti parte dello stato Sabaudo, poi divise tra Italia e Francia, popoli sempre in un certo qual modo uniti da mercati, migrazioni storiche tra le alte valli e la Provenza, case di soggiorno (i cuneesi le hanno tradizionalmente a Menton, i nizzardi e monegaschi a Limone Piemonte) e una linea ferroviaria tanto discussa ma che nonostante frane e alluvioni tiene duro, arroccata tra le montagne dell’impervia Val Roya e la fresca Vermenagna..
Un bel gruppetto si avvia in una val Gesso coperta di recente da finalmente abbondanti nevicate: la strada di fondovalle a tratti invasa da grandi valanghe, anche se ancor nulla a che vedere in confronto a quelle dei bei tempi in cui la neve rimaneva fino a tarda stagione e gli escavatori potevano entrare in azione per riaprirla al traffico appena ad inizio maggio!

© Loris Molineri
Sperimentiamo con l’occasione un nuovo tracciato, un po’ più diretto e lineare rispetto alle precedenti edizioni, grazie all’apertura invernale del Rifugio Remondino ad opera dell’intraprendente nuovo gestore Marco Ghibaudo.
Dopo una prima serata a Casa Savoia, grazioso e accogliente rifugio nel cuore delle austere Terme di Valdieri, saliamo dunque al Pian della Casa.

© Loris Molineri
L’ambiente è decisamente invernale: la neve ammorbidisce gli spigolosi profili rocciosi di Argentera e Madre di Dio consentendo di salire tra grandi blocchi con percorsi arditi ed entusiasmanti, che invogliano allo scatto fotografico. Sole e gestore ci accolgono al Remondino: l’atmosfera dentro è quella tipica dei rifugi invernali, fino ad ora così inusuale in Marittime perché prima di Marco solo la “Valasco band” aveva l’intraprendenza di spingersi (spesso con pesanti zaini in spalla e con ore di spalatura) in queste severe vallate nella stagione dura per accogliere i fortunati quanto rari turisti della neve!

© Loris Molineri
Stufa accesa, pelli stese ad asciugare, lieve odore di sudore e scarponi usati, birretta sul tavolo ed un piatto di pasta alla volée: cosa chiedere di più se si ama la semplicità, la rudezza un tantino addomesticata, l’autenticità di queste piccole esperienze d’alta quota? Quando mi trovo qui, in queste situazioni, inevitabilmente intuisco il potenziale immenso di queste valli, questo serbatoio di emozioni esperienziali a portata di mano per chiunque abbia la voglia, la curiosità di uscire da rotte più comuni e ficcare il naso tra le pieghe di queste appartate montagne: e sorrido tra me e me, conteso tra la volontà di parlarne, di divulgare ciò che ormai segreto più non è ed il tenerlo nascosto, piccolo tesoro per iniziati da non ridurre alla stregua delle hautes routes con carovane di scialpinisti internazionali in coda… Ma poi chissà, forse il ruolo di queste montagne è proprio quello di insegnare una cultura della montagna in punta di piedi, senza troppi clamori e con gran rispetto per la natura; dove si lasciano i ridondanti comfort quotidiani per riscoprire che con poco si possono vivere grandi esperienze dal sapore quasi primordiale, tornando a scaldarsi col fuoco, darsi una lavata con l’acqua gelida, uscire nella neve per andare al cesso.

© Loris Molineri
Proseguiamo per il Colle della Culatta, vasta depressione misconosciuta che offre una lunga serie di curve col sole del tramonto ai piedi della Nasta per tornare al rifugio e goderci la meritata cenetta. Stop, fine del primo giorno.
Giorno due, si riparte: direzione Passo del Brocan, accompagnati da vasti banchi di nubi alte da ovest che portano un po’ di vento e nevischio; ma nulla di che, a metà mattina il sole si riappropria del cielo, ammorbidisce appena i primi pendii e noi giù tra gobboni rocciosi e lunghi scivoli bianchi per ripellare nel vallone Ghigliè.

© Loris Molineri
Raggiungiamo la vetta col sole di mezzogiorno e approfittiamo a lungo del vasto panorama: un po’ di nubi lasciano appena intravvedere la Costa Azzurra ma al di sopra, lontana dopo una vasta chiazza di azzurro, la Corsica ricorda il dorso di una balena col Monte Cinto innevato a far da pinna dorsale. L’accoglienza di Charly al Cougourde è quella classica, con omelette fromage per tutti e relax sulla bella terrazza di questo chalet rifugio posto al limitare dei larici nella stupenda cornice dell’Haut Boreon. La solita volpe semiaddomesticata che puntuale compariva la sera a far capolino alla finestra stavolta non c’è, chissà!

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Partenza in discesa per questa giornata che ci condurrà al Refuge de Nice. Il Pas des Ladres offre la prima piuttosto ripida salita, dopo di che iniziamo ad intuire un ambiente che – seppur ancora erto di pareti rocciose e canaloni innevati tutt’intorno – si fa più solare, più ampio, meno severo rispetto alle vallate cuneesi appena abbandonate. Camosci qua e là, il Gelas che sostiene il proprio fisique du role di Monte Bianco delle Marittime, lunghi lisci pendii regalano le prime vere curve della giornata in quel firn che pare burro…

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Una goduria al fondo della quale un piccolo ripiano impone il ripellaggio e concede la prima connessione telefonica dopo (finalmente) più d’una giornata di quiete. Ripide curve al di la del Pas du Mont Colomb ed eccoci al Refuge de Nice.

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Ormai da qualche anno non passiamo di qui, complice il COVID e la scarsezza di neve degli ultimi anni! Christophe mi accoglie festoso, da simpatico gardien che è, felice di vedere qualche italien, ”qui sont simpa mais il ne font pas souvent des longues rando a ski: ils doivent retourner chez mama”. E ride… L’ultima volta s’era fatta gran festa qui, con tanto di chitarra, e alla fine aveva voluto a tutti i costi cantare O bella ciao, svegliando un austero gruppo di svizzeri e meritandosi il rimprovero dai suoi stessi clienti… “Trop seurieux ces allemands!”

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Ciao Christophe, alla prossima, noi si riparte pelli e coltelli, lungo ripidi poi dolci poi nuovamente ripidi pendii intervallati da qualche canaletto più severo per raggiungere dapprima la Breche du Basto e – dopo qualche bella curva nell’alta Valmasque – la Breche de Fontanalba.

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La sensazione è veramente quella di uscire dalle Alpi: solo più lo scoglio della Rocca dell’Abisso ferma lo sguardo all’orizzonte, mentre alle nostre spalle una barriera di montagne, speroni e contrafforti rocciosi dà la sensazione di un sipario oltre il quale stanno le montagne appena percorse: davanti l’ampia e dolce valle di Fontanalba con le sue incisioni rupestri invita ad abbandonarsi alle ultime curve verso le cupe pinete di Casterino e la tormentata Roya devastata dalla tempesta Alex.

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In fondo il Saccarello, il Balcone di Marta e dietro, onnipresente, il mare.
La Cuneo-Nizza termina qui, viaggio tra nevi, città e culture d’oltralpe, liaison pacifica e sportiva tra genti divise da confini politici ma unite da passioni comuni. Un treno ci attende a Tenda, mezz’ora e saremo nuovamente al di la del confine, pronti a ripartire per viaggi senza confini.

© Loris Molineri