21 giugno 2024. All’aeroporto di Istanbul invio un messaggio a Mehmet, il nostro contatto in Turchia, informandolo che il volo per Kayseri sarebbe arrivato puntuale e chiedendogli se avremmo potuto lasciare le biciclette imballate nei grandi scatoloni.

© Lorenzo Cravero
La sua risposta è stata esattamente quella che speravamo di ricevere: “Lasciate tutto imballato, le caricate e salite sul minibus. Una volta arrivati a Cukurbag vi rilassate con un tè e della frutta all’ombra dei ciliegi.”
Durante il viaggio da Kayseri a Cukurbag, nell’Anatolia centrale, il paesaggio collinare dai toni bruno chiaro scorre rapido oltre i finestrini del minibus sotto i nostri sguardi curiosi.

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Di tanto in tanto l’orizzonte dolce e sinuoso si alza bruscamente, delineato dai ripidi versanti delle prime alture delle montagne Aladaglar, che presto avremmo esplorato, scalato e disceso con le nostre mountain bike.
Arrivati a Cukurbag veniamo accolti in una bella struttura. Quando Mehmet ci riceve ci pare di conoscerci da sempre, nonostante sia la prima volta che ci incontriamo dal vivo. Nel frattempo un’anziana signora, intenta a lavorare a maglia, ci osserva curiosa mentre montiamo con attenzione le MTB tirate fuori dalle scatole, assicurandoci di stringere bene i bulloni dello sterzo e dei pedali.

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Finalmente il meritato riposo! La mattina seguente, una ricca colazione a base di prodotti locali ci mette subito di buon umore, pronti per affrontare la scalata alle pendici del monte Eznevit. Paesaggi bucolici, profondi canyon, villaggi autentici, foreste e altipiani aridi si susseguono davanti a noi, offrendoci panorami sconfinati mentre percorriamo strade sterrate fino a raggiungere la nostra meta: una struttura accogliente, costruita su palafitte lungo il fiume Korkun Kay.

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Mentre puliamo con cura la catena, il cambio, le pulegge e gli steli degli ammortizzatori una ragazza dagli occhi vivaci e curiosi, incorniciati da un foulard di seta azzurro, ci osserva in silenzio per poi chiederci, con l’aiuto di Mehmet: “Ma da dove viene tutta questa passione per la bicicletta?”. Una bella domanda alla quale non abbiamo saputo rispondere.
Una ricca cena a base di riso, verdure, zuppa e carne di agnello, gustata su una terrazza a sbalzo sul corso d’acqua, ci ha regalato una piacevole sensazione di sazietà prima di andare a letto.
La mattina seguente partiamo per affrontare la seconda tappa. A ogni pedalata ci accompagnano vasti panorami da un lato e imponenti pareti rocciose dall’altro.

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Le strade sterrate si inerpicano sui ripidi versanti portandoci a superare diversi colli. Arrivati nei pressi di un valico Mehmet si ferma e si dirige verso un pianoro dove sono collocate le capanne e le terrazze di pastori nomadi.

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A causa del caldo oggi non producono il loro tipico yogurt, ma la loro ospitalità spontanea ci invita a fermarci per gustare un delizioso tè. L’occasione è perfetta per catturare alcuni scatti irripetibili a questa calorosa famiglia di pastori.

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La sterrata continua, esigente in termini di allenamento e sforzo fisico, fino a una casetta in legno ideale per gustare il pranzo che ci hanno preparato Memhet e l’autista Damazan, sempre attenti e professionali. Da qui una lunga discesa ci conduce alla strada asfaltata dove carichiamo le bici sul carrello per percorrere gli ultimi chilometri prima di arrivare al villaggio di Adalag, dove ci attendono la cena e il pernottamento.
Il giorno successivo imbocchiamo una sterrata lungo uno spettacolare canyon che attraversa foreste e diversi valichi. Le rocce assumono sfumature rossastre creando un contrasto unico con il verde intenso delle conifere. Dopo alcune salite impegnative, la strada taglia un ripido versante che sovrasta un lago dal colore turchese, fino a raggiungere un villaggio incastonato ai piedi di maestose pareti calcaree dalle quali sgorgano spettacolari cascate. Arriviamo qui in un caldo pomeriggio, immersi in una cornice naturale mozzafiato.

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Dopo esserci cambiati dagli abiti da bici andiamo ad ammirare le cascate di Kapuz Basi, fino a inzupparci completamente. Al ritorno, passando per il centro del villaggio, notiamo un assembramento all’ombra di maestosi platani secolari. Stiamo assistendo a un matrimonio turco tradizionale dove si danza e si canta. Le donne sfoggiano abiti sgargianti e colorati, mentre i presenti, a turno, lanciano petali e monete che i ragazzini si affrettano a raccogliere da terra con entusiasmo. Felicità e pianti, ragazze e ragazzi eleganti che danzano, bambini che, con gli abiti dello stesso colore della terra con cui giocano, gridano di felicità mentre assistono alla creazione di un falò alimentato rami e scatole di cartone.
I primi chilometri della quarta tappa si snodano al cospetto delle impressionanti pareti calcaree e cascate di Kapuz Basi, dopodiché si sale inesorabilmente su asfalto poi su sterrato.

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Fanno da cornice curiosi buchi scavati nella roccia un tempo utilizzati come riparo, fino a che la strada da larga diviene uno sterrato simile alle nostre strade militari alpine: prima tagliano versanti poi si arrampicano fino ad aprire la vista su panorami sconfinati e altipiani carsici a 2.000 metri.

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Dopo alcuni chilometri incontriamo una famiglia di pastori nomadi che in cambio di caramelle ci offrono squisite schiacciate di pane appena sfornato. Un momento davvero indimenticabile.
Al valico scorgiamo cinquecento metri più in basso l’area camping già allestita, con la cucina da campo nella tenda pronta e fumante.

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Dopo una doccia gelata ci sediamo nella yurta per cenare gustando una magnifica zuppa piccante e uno squisito spezzatino. La sera, immersi nel silenzio rotto solo dal fragore della cascata, ci corichiamo sull’erba con il naso rivolto all’insù per osservare l’infinita distesa di stelle che solo queste terre selvagge, prive di inquinamento luminoso, possono ancora offrire.

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Il giorno dopo, lasciate le tende, affrontiamo una lunga salita sterrata che si restringe progressivamente fino a diventare una stretta mulattiera.

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A quota 2.900 m la strada blocca il passaggio al nostro veicolo di supporto costringendolo a darci l’appuntamento a Pinarbasi in una fishing farm.
Salutato Damazan partiamo con le mountain bike continuando la salita insieme a Mehmet, che per l’occasione si trasforma in un biker d’alta quota. L’aria diventa sempre più sottile e le pedalate diventano gravose mentre attraversiamo gli altopiani carsici, dai quali lo sguardo spazia dai canyon modellati dall’acqua fino alla pianura che si estende verso la Cappadocia. Nel punto più alto l’altimetro segna i 3.157 metri. Da qui affrontiamo una discesa impegnativa su strada sterrata che ci conduce a Pinarbasi, dove un delizioso pasto a base di trota conclude le fatiche della giornata.
Nel viaggio verso Uchisar, nel cuore della Cappadocia, facciamo una sosta per visitare la straordinaria città sotterranea di Derinkuyu. La guida ci racconta l’incredibile storia di questa popolazione che per rifugiarsi in periodi di invasioni aveva progettato una vera e propria città sotterranea di otto piani che includeva divisioni sociali, alloggi, dispense, e passaggi segreti per uscire all’esterno.

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Arriviamo in serata nella bellissima città di Uchisar che sovrasta la Cappadocia e le sue incredibili formazioni geologiche nelle quali l’uomo ha ricavato e ricava tutt’ora abitazioni, colombaie, luoghi di culto, dispense e locali. La nostra struttura, con le sue panoramiche terrazze e ambienti scavati nella roccia, ci ha deliziato con bellissimi spazi comuni all’aperto e la vista sulle famose mongolfiere.

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La sesta tappa, un bellissimo single track che richiede buone capacità di guida, ci porta sulle tipiche montagne piatte per poi scendere circondati dalle tipiche guglie di pietra dei “cammini delle fate”.

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La sera, per recuperare le fatiche, non ci facciamo mancare un rilassante Hammam, sauna e bagno turco.
La settima tappa, sempre con base a Uchisar, è tecnicamente la più impegnativa del viaggio, ma la fatica viene ampiamente ripagata dagli scorci mozzafiato tipici della Cappadocia, così come regala angoli selvaggi e ameni nell’esplorazione della valle dei Piccioni e dei tipici paesi monumento scavati e costruiti come un tutt’uno, nella e con la pietra.

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L’ottavo giorno di bici lo dedichiamo alla mattina a un giro quasi interamente su asfalto per esplorare le città più importanti della zona. Mentre torniamo verso Uchisar su strade sterrate ci fermiamo a raccogliere e gustare le albicocche che strabordavano dagli alberi.
Nel pomeriggio ci dedichiamo a gustare gelati preparati da ‘giocolieri’ turchi e a fare acquisti di souvenir. Un viaggio che in realtà non ha bisogno dei souvenir per essere ricordato. La prima parte nel cuore dell’Anatolia, con vette e scorci di alta e altissima montagna, pastori, acqua che corre e acqua che sgorga dalle pareti, picchi, altopiani carsici e foreste, animali domestici e selvatici, pastori, folklore, strade sterrate e distese infinite. La seconda parte in Cappadocia a pedalare e raidare nei cammini delle fate, sui single track, sotto le rocce scavate, a gustare i panorami immersi nella tradizione e nella cultura di questi luoghi magnifici.
Ricordi, pedalate, volti, gesti, sorrisi, persone, fatica ed emozioni che resteranno per sempre nel nostro cuore.